"Si fa dell'arte per trovare nuovi amici"
Ebbene, io questi amici, questi compagni di viaggio, li ho trovati nella
piccola viola di Erika Giansanti, nella grande viola di Paolo Clementi,
nelle guance gonfiate della tromba di Luca Marianini, nel cuore battente
di un italo olandese Jeppe Catalano, di un bassista malato di non
protagonismo Giovanni Dell'Orto e nella mia voce che di questi cinque strumenti è il sesto.
Con loro, in una situazione di totale agio e coinvolgimento, le canzoni si
arricchiscono in modo spontaneo del carattere di ciascuno, e in maniera più
razionale, nel cercare un'unica musica che comprenda tutte le altre,
rifiutando solo, pur con estremo rispetto e quasi ammirazione, quelle che
non ci coinvolgono. A permetterci di camminare con i piedi ben saldi, c'è
Gianni Maroccolo, e, accanto a lui, l'arte fonica di Giovanni Gasparini,
l'amico ritrovato.
Mi rendo conto di stravolgere ogni canone di comunicato stampa, ma credo
che la musica non debba mai essere spiegata, anche correndo il rischio di
non essere capiti; sarebbe riduttivo, limitante, racchiudere il significato
nel solo linguaggio delle parole e nei buoni propositi, tralasciando,
anticipando, ciò che trasforma il gesto in emozione, il soffio in intonazione
dell'anima.
La prima volta che l'anima si è intonata al corpo camminando sulla mia
schiena è stato all'età di dieci anni, quando mio padre e mia madre
regalarono a me e mio fratello una cassetta degli Inti Illimani e una di
Elvis Presley. A me piace credere che quell'episodio abbia segnato la mia
vita, anche se prima di toccare con mano consapevole uno strumento dovevano
passare diversi anni. Da allora ho sempre cercato di allineare nel modo più
sincero ciò che penso con quello che sento, ciò che vedo con quello che intravedo.
Non credo nelle illuminazioni, se non quelle passeggere, ancora meno credo nella
capacità di illuminare: credo invece nella lucidità, nel tentativo di
osservare a fondo, affascinati nello stesso modo da un bel paesaggio come
dalla folla chiassosa di un supermercato, sempre sostenuto da convinzioni
radicate ma allo stesso tempo sempre disposto a strappare le vecchie radici.
Oggi, all'età di ventisette anni, registro il mio primo disco, con la paura
del primo giorno di scuola, con "l'infocata passione di chi non riesce a
dimenticare", ma con gli occhi ben aperti, con le parole pronte; contento
di potermici specchiare, più o meno pacatamente, mantenendo nel bene e nel
male tutte le caratteristiche del primo lavoro, "eppur non basta".
Marco Parente
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