"Paradiso, Inferno, Piano Terra" è il viaggio, ascendente e discendente,
di Marco Parente nella vita - mia e tua vita - e nel mondo - mio e tuo mondo -.
"Nel centro esatto della mia vita tua vita questo mio lavoro tuo lavoro", dice
infatti un suo testo. È un viaggio a metà strada tra la terra e il cielo,
ascendente e discendente al contempo, ("con la testa all'ingiù / cammino sul cielo.
Ti amo al contrario"), così come si conviene a qualcuno che vive davvero intensamente,
con la teste e col cuore, e la vita e il mondo.
Un uomo solo, definitivo, si muove dal palco, da un pianoforte a una chitarra,
da una chitarra alle mani e ai piedi, dai piedi alle tavole del palcoscenico.
Si muove, suona, canta, parla. Un Dio gli fa eco - tuo dio, mio dio - gli
sdoppia la voce - mia voce tua voce - la incastra dentro rumori, ne fa rumore,
la confonde, fonde e rifonde in sonorità intime, collettive, individuali, metropolitane e solitarie al contempo.
Marco canta le sue canzoni, la sua voce, la sua musica, si muove. Non chiede
niente perché sono le mie canzoni tue canzoni, la mia voce tua voce, la
mia musica tua musica, il mio movimento tuo movimento: "Mi dirigo verso il cuore tuo cuore
Mio cuore". Non chiede niente, non dice niente, non fa né bene
né male:
"Posso dire che ho fatto del bene succhiami il bene posso fare del
bene fatti il bene fatti il male rifattela con chi ti ha messo lì al momento
sbagliato non ti ho chiesto niente io cambia canale ora e trovi la pace,
l'amore e la tua buona coscienza e domani svegliandoti sui tuoi 7 guanciali
di seta dirai: devo aver mangiato qualcosa che mi ha fatto male fatti male".
Antonio Bertoli
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