I 40 minuti circa del set di Marco Parente e Paolo Benvegnù, prima del
concerto bolognese degli Afterhours, si svolgono in un locale affollato
all'inverosimile. I due si presentano senza altri musicisti di supporto, e
accompagnano i loro pezzi semplicemente con chitarra elettrica ed effetti
(Benvegnù), chitarra acustica e tastiere (Parente).
Tale scelta "spartana" appare sicuramente azzeccata per la carica
immediata e l'approccio diretto con i pezzi, ma permane la curiosità di
immaginare che effetto sortirebbero i brani con un'orchestrazione più
variegata e complessa. Se per certi pezzi la differenza non si sente, se
per altri la mancanza di sezione ritmica e archi risulta in parte
penalizzante, alcune canzoni sembrano addirittura trarre giovamento dalla
ormai collaudata formazione a due, che costringe interpreti e pubblico a
focalizzarsi maggiormente sul "cuore" dei brani. La voce appassionata di
Marco Parente e quella dolentemente rabbiosa di Paolo Benvegnù trasportano
a poco a poco un pubblico decisamente ben disposto (tolta una fisiologica
minoranza di pochi elementi che non gradisce) nei percorsi apparentemente
obliqui, seppure sensati e diretti, dei brani editi e inediti.
Rispetto anche a pochi mesi fa sembra che la collaborazione tra i due
stia andando ben oltre l'ammirazione reciproca e l'amicizia. Le influenze
vicendevoli si sentono sempre di più e, sebbene sia ben chiaro che in certi
momenti si è in presenza di un brano di Parente mentre in altri è di una
canzone di Benvegnù che si tratta, si comincia a percepire in diversi
episodi una nuova entità che i due stanno evidentemente creando.
Rimane grande, pertanto, l'aspettativa che questo incontro artistico porti a
sviluppi proficui.
Tra gli episodi del breve concerto, oltre alla sempre più intensa
Succhiatori, i momenti di
maggior coinvolgimento vengono raggiunti con Karmaparente
e una versione crepuscolare di Rosemary Pelxiglas (Scisma, NdR)
che chiude, malinconicamente, il concerto.
Una nota, diciamo così, "di colore". Appena terminata l'esibizione, un
gruppo di ragazzi, commenta, dietro chi scrive, il concerto. "Ma questi chi
sono?" chiede uno. "Un gruppo nuovo?" si domanda un altro, aggiungendo "E
come si chiamano?". "Però sono forti!", concordano. Se da un lato ciò dà
pensare sulla annosa questione della visibilità nella musica, dall'altro
però conferma ancora una volta l'impressione che esiste spazio per le
proposte artistiche autentiche e sincere che puntino al cuore dell'ascoltatore.
Francesco Saliola
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