SDSM, Guardia che Festival
Intro: A kind of magic
A Guardia Sanframondi si respira un'aria di frizzante magia. Lassù, fra le montagne del beneventano, c'è un manipolo di una decina di ragazzi che lavora un anno intero per portare avanti un festival che, ormai, non è azzardato definire punto di riferimento del mondo indie italiano.
A Guardia Sanframondi, durante i quattro giorni del Six Day Sonic Madness, vedi questi ragazzi - che con l'aggiunta di altri volontari superano le settanta unità - sfrecciare avanti e indietro in motorino, a controllare, infaticabili, che la macchina organizzativa - complessa e gestita con sorprendente professionalità - non subisca intoppi.
A Guardia Sanframondi c'è una fortezza medioevale che di sera diventa splendida cornice per dell'ottima musica. E, ancora, c'è una intera comunità indipendente che si muove: la riconosci nei dreadlocks dei fumettisti, nei sorrisi dei fotografi, nell'occhio vivace dei registi di corti, nel piglio pensieroso di chi si dedica ai reading, nelle facce felici dei tanti visitatori. Fiumi di persone che amano la vita e l'arte unendo passione e cultura e che si riversano festosi nelle strade di un paesino in cui, a volte, si ha la sensazione che il tempo si sia fermato. Il tutto sotto l'occhio vigile e un po' sorpreso dei vecchietti del paese che, seduti sulla soglia di casa, osservano e non lasciano trapelare la minima emozione a riguardo della pacifica invasione.
A Guardia Sanframondi questa storia va avanti da sette anni. E il groppo in gola con cui ti lasci alle spalle questa esperienza ti fa pensare, con il paesino che ancora si staglia nitido nello specchietto retrovisore, che l'anno prossimo di certo non potrai mancare.
I Giorno: il ciclone Valderrama e le rime di Marco
Arrivare sulla fortezza a concerto già iniziato comporta una duplice conseguenza: da un lato ti manca il respiro per l'eccezionale colpo d'occhio, dall'altro ti rincresce sapere di non poter scrivere nulla sui Mersenne, essendo la loro esibizione già ben oltre la metà.
I Valderrama 5 salgono sul palco preceduti dalla loro fama di gran stravaganti: la loro devastante presenza scenica - che indubbiamente comprende anche l'abbigliamento improbabile - e l'innata capacità di coinvolgimento del pubblico, regalano una esibizione divertente e scoppiettante. Con eccentrica verve i Valderrama 5 servono un cocktail ad alto tasso alcolico fatto di Beatles e Beach Boys e lo lasciano bere tutto d'un fiato; fuori fuoco appaiono, però, il lavoro fatto sulle voci - nelle intenzioni comunque molto complesso - e la cura dei suoni delle chitarre.
Decisamente più pulite e maggiormente curate le atmosfere ritagliate dalla The Juniper Band; la band offre un set preciso e accurato fatto di sonorità che si collocano a metà strada tra dilatazioni post-rock e passaggi pop mai banali, sebbene nel complesso il tutto venga fuori un po' freddino e distaccato.
Nulla da recriminare, invece, a Marco Parente, protagonista di un concerto bellissimo, intenso ed emozionante. Un artista capace di mettere in rima la sperimentazione con il cantautorato, la melodia più semplice con passaggi strumentali eterei o marcati a fuoco e di ottenere una poesia dal fascino raro e puro. Grida e sussuri si intrecciano alle frasi di piano, alle maglie acustiche o elettriche delle chitarre, a ritmiche che da quadrate si fanno sghembe e viceversa. Il tutto per una scaletta che è un'onda che scivola via fin troppo velocemente e che, al di là delle composizioni, fa segnalare l'eccezionale prova di Enrico Gabrielli, dritto dai Mariposa insieme al batterista Enzo Cimino.
Le luci si abbassano tenui sul primo giornodi festival. La festa dalla fortezza si sposta tra i vicoli e le piazzette mentre tra i brindisi notturni si comincia a pensare al cartellone del giorno dopo.
II Giorno: Mosaici amari e gatti alieni
Dare un degno seguito al concerto di Marco Parente non è cosa facile, però i live act degli artisti del secondo giorno sono tutti all'altezza di un festival che, nel complesso, è di ottimo livello.
Aprono gli El Alieno, progetto di stanza a Terni, con il compito di dare l'impatto iniziale al cerimoniale musicale: il risultato è decisamente riuscito visto che la band mette in fila brani potenti e tirati, aggressivi e abrasivi che colpiscono con veemenza pur senza rinunciare alla ricerca melodica.
Gli Amari sono una gran conferma di quanto ascoltato su disco; anche dal palco, infatti, la formazione riesce ad amalgamare benissimo l'elettronica e l'hip-hop, i campionamenti e le distorsioni delle chitarre, in un patchwork coinvolgente e devastante schizzato di ironia e divertissement. Interessanti fin dall'attitudine, splendidi fino al midollo.
Va meno bene con i Fine Before You Come anche se i toscani hanno dalla loro l'attenuante di essere stati afflitti dagli unici problemi tecnici dell'intero festival. Il discreto inizio va sbiadendosi durante l'esibizione che presenta pochi alti - su tutti alcuni episodi chitaristici - e molti bassi, riscontrabili soprattutto in strutture prevedibili e gestite in modo didascalico, cantato insufficiente, continue sensazioni di "già sentito". Assolutamente da rivedere.
La fortezza si tinge di bianco e nero per l'esibizione dei Gatto Ciliegia contro il Grande Freddo, con un proiettore che riflette tinte e temi a là Chagall alle spalle dei musicisti. Il Gatto convince e coinvolge a metà, presentando una scaletta in cui appaiono fortemente riconoscibili - fin dalla capacità di "arrivare" alla platea - i pezzi vecchi rispetto a quelli dell'ultimo album. Questi ultimi, piazzati ad inizio concerto, stentano a far decollare l'atmosfera che, però, cresce con il tempo per giungere ad un finale caldo ed avvolgente fatto di intrecci chitarristici eleganti e passaggi strumentali che oscillano eterei. La pienezza e l'intensità degli ultimi brani sono come una luce accecante ed inebriante che ci lascia applaudire senza posa: il nero lascia il posto al bianco, i cali di intensità sono presto dimenticati.
III Giorno: Il treno Red Worm's e i voli di Iriondo e Cantù
C’è ancora tra le montagne l’eco dei Gatto Ciliegia contro il Grande Freddo quando arrivano ad aprire la serata i Ninefold, formazione al proprio secondo lavoro (Motel) dopo l’esordio con gli Homer in Split vol.2. Suono americano, fusioni numetal con derivazioni (poco) hardcore, una intro di scarso entusiasmo: niente di nuovo sul fronte occidentale. Stentano a coinvolgere con un impatto non rilevante sebbene mi riservi un nuovo ascolto, consapevole delle difficoltà presenti nella realizzazione di una buona ouverture.
A seguire Paolo Cantù e Xabier Iriondo, due nomi e una garanzia. Accanto al progetto Tasaday e in seguito alle concluse esperienze con Six Minute War Madness (la storica formazione che ha donato il nome per assonanza al festival) e A Short Apnea, le circostanze della vita portano i due ad esprimersi in questo nuovo progetto tutto personale. Si impongono immediatamente con un impatto distruttivo tanto da non lasciare dubbi: ci sono tutte le carte in regola per farne i re della serata. Xabier, ricordiamo già chitarrista degli Afterhours, ci regala splendidi suoni dal suo laptop cromato Apple e strumenti di sua personale realizzazione: corde ed archetti, sinfonie ed alchimie perfette di rumori e dissonanze. Loop, microcampionamenti e delay effects riempiono gli spazi tra cambi di strumenti, voli pindarici ed eclettici a comporre un soundscape definitivamente perturbante. Paolo Cantù martellatore di chitarre ci regala attimi splendidi con il suo clarino, occhi estasiati hanno fissato la sua figura ormai ipnotica mentre i timpani vibravano galvanizzati dalla sua performance. Un incantatore di serpenti.
A seguire i Red Worm’s Farm, reduci dall’ultima fatica Troncomorto con il prezioso supporto di Giorgio Favero (One Dimensional Man). Non è difficile parlare bene di questi ragazzi di Padova: divertenti, travolgenti, originali, perfetti. Pochi i corpi fermi all’impatto musicale, un batterista che va come un treno dà forza all’intera formazione sostenendola con una sezione ritmica travolgente.
Chiudono la serata gli ospiti d’onore El Muniria, nuova formazione targata Homesleep per Emidio Clementi reduce dalla fantastica esperienza dei Massimo Volume. Il nuovo ensemble vede la luce in Nord Africa ed è dalla Stanza 218 dell’albergo di Tangeri (che ha visto nascere la nuova collaborazione) che prende il nome il loro album d’esordio. Interessanti e di gran stile, ovviamente professionisti della musica che coinvolgono con le loro trame acustiche di nuova generazione. L’impressione è generalmente positiva sebbene una nota amara si affaccia al palato: forse una scarsa evoluzione, un qualcosa che non si discosta molto da quel che già c’è stato da dire ed è stato detto. Un progetto sicuramente non superficiale da ascoltare con attenzione per capirne i significati eppure, nonostante il piacevole ascolto, lascia un po’ le acque calme senza nulla di sconvolgente.
IV Giorno: Le pillole di Marta e l'immaginario dei ragazzi morti
Aprono la serata i Gentlemeen's Agreement, in veste di band campana selezionata dall'organizzazione del festival. Quanto sentito non appare eccezionale seppure indiscutibile sia la bravura della giovane band; il pubblico resta calmo, il coinvolgimento appare scarso anche se siamo consapevoli di quanto sia difficile aprire una serata di un festival del genere. Seguono i Surrounded, svedesi molto bravi sotto etichetta americana (Deep elm) con il disco Safety in numbers e con un nuovo album in preparazione. Suoni orchestrali, belle melodie, alternanza di lo-fi e hi-fi per tessere sonorità affascinanti e di grande atmosfera. Poi i Marta sui Tubi, bravi e coinvolgenti, capaci di realizzare molto con una formazione acustica (apparentemente) essenziale. Come già apprezzato su disco, il duo si conferma ottimo nell'imbastire brani che sono pillole di ironia, leggere nelle atmosfere ma non sempre nei contenuti. Chiudono la serata i Tre allegri ragazzi morti che ribadiscono che i nomi sconosciuti realizzano meglio di quelli grandi (o almeno così è stato per le ultime due serate di questa edizione del Six Day Sonic Madness). Ad ogni modo il terzetto porta avanti la serata con mestiere, inscenando sul palco il loro solito immaginario che ha qualcosa di buono dietro l'imbecillità manifesta, nonostante preferisca Toffolo come fumettista piuttosto che come musicista. A livello di pubblico grande impatto e coinvolgimento, senz'altro il gruppo più seguito e trascinante dei quattro giorni.
di Luca D'Alessandro e Luciano Verdicchio (per MusicbOOm)
Live dal Live a Benevento, 29 Luglio 2004
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