Un uomo solo, vestito di lino, con una chitarra acustica. Non è un
falò sulla spiaggia la notte di San Lorenzo, vero must di ogni estate (“per
fare qualcosa di diverso” è la frase usata per coinvolgere quanti più partecipanti possibile,
ma è vero solo se non sei lo sfigato che suona la chitarra e per
stupire suona Stairway to Heaven mentre gli altri si intrattengono con il compagno o
compagna di turno), ma il concerto di Marco Parente nella suggestiva
cornice (espressione telefonata che MS Word bollerebbe come “abusata e logora”
se solo avesse anche la funzione “buon gusto” oltre alla correzione automatica)
del Chiostro di Santa Cristina.
A dire il vero non c’è molto da dire in merito al concerto:
non sono un fan appassionato di Marco Parente, e benché sia la seconda
volta che mi capita di assistere ad una sua performance, ancora non riesce a convincermi dal
vivo, pur apprezzando alcuni suoi dischi. Sia ben chiaro,
non ho nulla da eccepire alle sue doti: è un musicista poliedrico ed espressivo,
visionario nelle soluzioni musicali e verbali, istrionico nell’inerpicarsi con la voce
per raggiungere vette spioventi, ma tutto questo il più delle volte mi lascia indifferente.
Reggere un palco da solo con voce e chitarra, per posizionarsi comunque
su linee di frontiera è esperienza difficile e lo sforzo è encomiabile, ma
il rischio dell’incompiuto è dietro l’angolo. A riprova di ciò, va detto
che i due pezzi in cui Marco era accompagnato da Enrico Gabrielli al piano, hanno
brillato sugli altri proprio per il senso di pienezza che infondevano. In definitiva, a parere di
chi scrive è solo in formazione full band che la musica di Marco
Parente raggiunge la sua dimensione ideale e ottiene la giusta ricompensa in termini di
apprezzamento.
di Rocco Avolio (Sonorika, www.sonorika.com)
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