Diagonal Loft Club
Forlì, 16 Novembre 2005

'Sveeeeeeeeeegliaaaa!!! Vi stanno rubando la macchinaaa...'

Con queste parole ha esordito Marco Parente al Diagonal di Forlì.

Parente si lascia precedere dai suoi compagni sonori di avventura, invero

tutti bravissimi musicisti, presentandosi sul palco con un berretto di lana tirato giu' fino al mento. Arrivato al centro del palco, Marco si pianta tra le assi del legno come fosse un pioppo. Allunga le mani, rigidamente, sulla faccia e comincia a ruotare il berretto, fino a scoprire un'apertura che ne lascia intravedere solo la bocca. Poi si decolla, la batteria sprigiona tutta la sua potenza di quello che certamente non possiamo chiamare rock (genocidio?) e Marco si libera da ancore e maschere (se non forse quella di una copia in acido di Jovanotti). Grande concerto. La voce di Marco era buona, anche se non sottile come in studio.

I musicisti, incredibilmente capaci e fuori di testa, in particolare il bassista, tirano fuori ogni singolo suono nascosto dei loro strumenti (Il tastierista che suona soffiando contemporaneamente nella parti di un clarino smontato, il batterista che colpisce i piatti col tamburello, Parente che con dei frustini jazz usa il microfono come percussione. il bassista non pizzica lo strumento, ma riproduce le note grazie a repentini sbalzi di volume...) Marco Parente non parla fra un brano e l'altro. Lascia il compito di comunicare alle sue canzoni. Che poi potrebbero parlare di qualsiasi cosa. Quello che conta sono i suoni, e le emozioni. Una delle poche concessioni che si è lasciato andare ad una espressione diretta è stata un'invettiva contro al pubblico.

'Mi hanno detto: Marco, il pubblico di Forlì è molto freddo. Bene. Mi piacciono i pubblici freddi. Amo quando in un concerto il pubblico è freddo, la gente non applaude e le persone fanno un sacco di brusio...'

Avere la pretesa di una risposta espansiva e scatenata alla 'Kaiser Chiefs' mi pare comunque assai pretenzioso. Come poter applaudire, urlare o fischiare quando si rimane completamente esterrefatti, quando non si capisce se un brano è finito o meno, quando tutte le regole della comune canzone pop sono sconvolte? Tuttavia un momento imbarazzante è stato proprio al termine di una delle canzoni. Tutti i musicisti smettono di suonare, e fissano con ostilità il pubblico. Dovremo applaudire? Si incazzerà se lo invochiamo? Il pubblico tace. Il vero protagonista non è Marco, nè la sua band, non il pubblico. Il brusio. Nella penombra delle luci soffuse guardiamo tesi il palco, non sapendo cosa fare. Tutto quello che riusciamo a sentire è quell'insopportabile brusio proveniente dal banco del bar e dalle ultime file. Dopo quattro minuti cedo. Non riesco più a sopportare la tensione. Urlo 'VAI!' e comincio ad applaudire. Il pubblico mi viene dietro. Marco, un po' indispettito, abbassa vi olentemente la mano mostrando uno stizzoso segno alla band, che riprende la canzone, mentre penso:' Io la prossima volta non applaudo...'

'Il posto delle fragole' è stato indubbiamente il brano più emozionante, insieme a 'La mia rivoluzione', suonanta da solo con la chitarra mentre la band si ricaricava di Whisky (la bevanda migliore per fare del blues) al bar.

Finito il concerto avvicino Parente per complimentarmi. Un mio amico chiede al bassista se hanno risentito delle influenze musicali degli Area. Il ragazzo incrocia le mani, si allontanata di due passi e sbotta un po' stonato:'VADE RETRO!'. E prosegue: 'Mi ricordo di voi.... VENTI ANNI FAAAAA!'

E proprio quando penso che un album come 'Neve ridens' può essere apprezzato solo nella sua dimensione 'dal vivo' per rendersi conto pienamente della capacità tecnica e della disciplina delle persone che ci hanno lavorato, qualche dubbio sulla loro indefessa follia, nel mio piccolo, mi viene.

di Mark Zonda allen.cody@gmail.com
Recensioni concerti

Casa e villaggio... Lasciate libero il paesaggio... La terra è solo un viaggio