Tra le sue multiformi attività, il Consorzio Produttori Indipendenti,
ha avviato "Taccuini", una collana di 'musica aliena' all'interno
della quale hanno trovato pubblicazione alcuni lavori decisamente stimolanti,
ristampe di opere presto dimenticate e qualche esordio di grande spessore.
Quello di Marco Parente è proprio uno di questi: una voce sinuosa e
flessibile e una manciata di grandi canzoni che, rese uniche da arrangiamenti
alquanto atipici e raffinati, formano un album di rara bellezza e maturità.
A giudicare dalla strumentazione (due viole, basso, batteria, chitarre e voce),
l'intento dell'autore era proprio quello di caratterizzare fortemente le
proprie composizioni con una veste originale, non 'trendista' o 'alla moda',
ma semplicemente la più adatta agli umori delle canzoni.
Proprio gli arrangiamenti hanno un ruolo fondamentale nell'evidenziare l'estatica
bellezza di brani come Musica per,
L'ultima cena
('Ho una talpa che scava dentro al petto / Ho un corvo nel palazzo del mio
cuore') o Eri, in cui si fondono
a meraviglia palpiti, emozioni, rabbie, riflessioni, inquietudini e
insoddisfazioni in una sintesi complessa ma non complicata, fatta di tenui
chiaroscuri e abbaglianti squarci di colore. Bellissimi anche i testi,
incastonati in modo personalissimo tra le melodie, ma sempre pronti a
schizzarne fuori con immagini e soluzioni inusuali.
Purtroppo, quando ci accosta al lavoro di un nuovo artista, i mezzi a
disposizione di chi scrive di musica (le parole) possono anche mostrare dei
limiti nel descrivere un sistema emotivamente complesso come un insieme di
canzoni (non dimentichiamoci che, come disse Steve Martin, "scrivere
di musica è come ballare di architettura"), rendendo spesso
inevitabile l'ausilio di paragoni. Nel caso di Parente ogni accostamento
deve essere preso con le dovute "molle": si può azzardare
che la sua tecnica vocale riporti alla memoria il miglior Alan Sorrenti (si, c'è stato un periodo in cui è stato "migliore"), ma soprattutto qui ci sono la grande sensibilità musicale (e poetica) e quella stessa voglia di avventurarsi negli anfratti emotivi più oscuri che caratterizzarono un grande "incompreso" come Tim Buckley.
Nomi dissonanti e "inavvicinabili", mondi lontanissimi che si
toccano all'insegna di un'originalità che a fatica si riscontra nel
panorama italiano odierno.
C'è un lieve imbarazzo nel cercare di spiegare a parole il contenuto
di un album così intenso, specialmente dopo aver conosciuto li pensiero
del suo autore (che, nonostante il lavoro che faccio, condivido appieno):
"credo che la musica non debba mai essere spiegata, anche correndo
il rischio di non essere capiti; sarebbe riduttivo, limitante, racchiudere
li significato nel solo linguaggio delle parole e nei buoni propositi
tralasciando, anticipando, ciò che trasforma il gesto in emozione,
il soffio in intonazione dell'anima".
Addentrarsi in un album come questo è un'esperienza intima e personale
e, al di là di tutte le interpretazioni possibili, dovrebbe bastare il
dire che è un grande disco, cantato con l'anima in mano, suonato ed
arrangiato in modo sublime.
Eppur non basta offre emozioni a piene mani: in
Oio l'autore duetta con la splendida Carmen Consoli
e le due voci s'annodano in una vertigine inebriante e minacciosa allo stesso tempo.
Come inquietanti possono essere la solo apparente bonaccia che aleggia su
Il mare si è fermato o le
autoironiche citazioni di Eduardo De Filippo de
L'aggio scritt'a canzone e
Guida all'ascolto ("Chissà, forse un giorno la
gente si scervellerà per capire, dalle mie commedie, quale era
la mia concezione della vita e non s'accorgerà che neanche io ho
capito niente, che nessuno capirà mai niente e che forse capire,
in fondo, è inutile").
Eppur non basta è un opera prima che, paradossalmente,
rischia di passare inosservata proprio perché inclusa in una collana
che propone diverse cose di grande spessore.
Questo Marco Parente è invece un fuoriclasse che merita molta più
attenzione, visto che dischi di questo livello non se ne trovano tutti i giorni.
Chi ha ancora a cuore la musica che emoziona non dovrebbe lasciarselo sfuggire.
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