Sul Taccuino n.5 dell'omonima collana edita dal Consorzio Suonatori
Indipendenti sta scritto il nome di Marco Parente: un debuttante assoluto
(almeno per quel che consta al sottoscritto), ma tutt'altro che allo
sbaraglio. Non ci vuol davvero molto in effetti ad accorgersi che il
personaggio in questione ha atteso alla costruzione di queste canzoni con
tutta la meticolosa attenzione del perfezionista e la cognizione di causa di
chi conosce a menadito la grammatica e la sintassi della musica, di chi sa
ornare uno spartito, orchestrare un arrangiamento d'archi e impiegare nel
migliore dei modi il timbro squillante di una tromba senza 'sbrodolare' in
virtuosismi solistici.
Difficile inquadrare questo suo esordio entro precisi parametri stilistici:
il taglio delle canzoni è quello che con grossolana approssimazione si suol
chiamare cantautorale (un brano come L'aggio scritta a' canzone, dialetto
a parte, sembra rimandare al Tenco più disperato), ma i suoni, ancorchè
morbidi, puliti e prevalentemente acustici, hanno tuttavia mordente e
geometrie che discendono pittosto dal rock, impressione questa che viene
tanto di più avvalorata dai toni "cattivi" della voce (in Buone
prestazioni ed Eppur non basta per dirne un paio) e dalle chitarre
distorte qua e là (I fuochi di fine millennio) la produzione di Gianni
Maroccolo e Giovanni Gasparini ha affacciato non senza un pizzico di
malignità.
Più che la ricca e blasonata tradizione dei cantautori, dunque, è un gruppo
minore e semisconoscito come That Dog a venir poco per volta in mente, per
la sagacia con la quale Parente tratta gli strumenti ad arco, e soprattutto
per il clima di libertà da condizionamenti stilistici che si respira in
queste sue composizioni. Ma sarà così necessario trovare dei riferimenti
esatti per queste canzoni? La citazine da Eduardo De Filippo con la quale
Francesco Pisaneschi dei Luci Ferme chiude il disco (il passo cruciale
recita testualmente "capire è inutile") non incoraggia davvero a continuare
la ricerca.
Elio Bussolino
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