Marco Parente è come la sua musica: spigoloso e riflessivo, capace di
vibrazioni nervose e di quieti paradisi. Napoletano
di nascita ma ormai fiorentino di adozione, un passato come collaboratore di Csi
e Andrea Chimenti , è uno che, quando scrive una canzone, non
riesce a mentire. Se c'era molta sincerità nel suo primo album, Eppur
non basta, pubblicato due anni fa dal Consorzio Produttori Indipendenti e che fu accolto come una
rivelazione, in Testa di' cuore (Sonica)
Parente si mette addirittura a nudo, portando alla luce i nervi che pulsano
sotto la sua pelle. E l'anima. Un'anima divisa in due, verrebbe da dire,
seguendo il gusto della simmetricità che segna tutto il disco: parole di cinque
lettere sia "testa" che "cuore", un album concepito in due
sezioni come fosse un vecchio vinile, con una "facciata a" di cinque
canzoni ("testa", appunto), una "b" di altri cinque brani
("cuore") e la canzone Di a fare da collegamento.
Parente
confessa: ha pensato a questo album come se andasse a finire su quel vecchio
vinile "che permetteva di concepire progetti con una loro evoluzione, un
inizio, un centro e una fine. Il compact, invece, invita al surplus: è un
contenitore che va rimpinzato di canzoni, troppo spesso inutili. Non mi è mai
capitato di sentire un cd che fosse davvero un capolavoro".
Eccolo, il
Parente di "Testa", la prima parte del disco: quello che, con pacata
rabbia e con tenue rancore, si espone e dice la sua sulle cose che non gli
piacciono. I succhiatori (ispirata a un documentario sui meninhos
da rua) non sono solo i ricchi che vivono alle spalle
dei poveri "ma anche coloro che si auto compiacciono delle azioni buone,
alte, pietose" perché, canta Parente, "noi non abbiamo occhi/che per
noi/al massimo per chi ci siede accanto"; in Karma Parente ci sono i
dubbi di chi non ha ancora trovato una propria spiritualità "e non tollera
le mille fedi egoistiche e superficiali che vanno tanto di moda". Un pezzo
che gioca sull'assonanza tra le parole "Io" e "Dio"
"perché l'uomo forse ha creato Dio, immedesimandovisi, per suo delirio
d'onnipotenza". Un Parente fustigatore sociale? Per niente: "le mie
sono riflessioni emotive, non sentenze". Poi, passando attraverso Dì,
vera e propria "canzone di decompressione", si entra in
"Cuore", e l'atmosfera cambia: con la title track Testa dì Cuore
(in cui si capisce quanto importante deve essere stato Jeff
Buckley per il nostro) si distende, si placa; gli
arrangiamenti, decisamente elaborati in "Testa" con abbondanza di
campionamenti e ispirazioni, si fanno qui semplici e "grezzi"; i ritmi
(che nel "lato a" giocano persino al sudamerica e sembrano voler
tracciare le coordinate di un "tropicalismo" mediterraneo) si
semplificano ed entrano in gioco la carne, il sangue, le sensazioni fisiche,
l'amore (il bellissimo duetto con Cristina
Donà Senza voltarsi, una
delle canzone più belle prodotte dal rock italiano degli anni Novanta) e,
ovviamente, il cuore: "Scrivi se puoi/parole di conforto/immagina se
puoi/parole in carne ed ossa" (Rampe di slancio) è l'invito a se
stesso - ma non solo - con cui si Parente si congeda dall'ascoltatore, spiegando
così l'imperativo del titolo. Si parla molto, negli ultimi tempi, di risveglio
cantautorale in Italia (vedi Silvestri, Gazzè, Britti, Fabi).
Parente segna
ancora un'altra strada,
più profonda e matura, da vero outsider rispetto alla norma, confermando una
vocazione allo "stare al di fuori" tutta Toscana, che ha in Piero
Ciampiil suo grande Maestro.
Voto 8
Fulvio Paloscia
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