Un canto quello di Marco Parente che inizia con EPPUR
NON BASTA prendendo per mano e conducendo verso visioni introspettive
di nodi, conflitti ed involuzioni in cui si soffermano gli interrogativi
tormentosi di una ricerca intimistica che parla all’anima con la voce
pacata di chi sussurra poesia tra i rumori.
Si esprimono i turbamenti di un sé che giunge all’elaborazione
profonda ed analitica delle proprie polarità e delle contrapposte
tensioni con TESTA, DI CUORE, là dove erano ancora bozze latenti.
Opera seconda in cui la ricerca iniziale continua a svolgersi
su tracce liriche che si caricano progressivamente di luce,
emergendo come respiri nuovi da sfondi scuri.
Un lavoro raffinato ed elegante, elaborato su tessiture
introverse che continuano ad elaborarsi sul piano dell’astrazione.
Una preghiera ed un auspicio alla Vita che trova risposta in TRASPARENTE
a tutto quanto era in precedenza rimasto inespressa richiesta di intima
ricomposizione.
In quest’ultima creazione musicale tornano in gioco
le medesime forze spirituali che si rimescolano per contattare un centro
interno che bilanci ancora l’antico dialogo interiore.
Si balza ad un livello che si rivolge al mondo psichico
e non a realtà esteriori, come invece tradirebbero provocatoriamente i titoli
di alcuni brani, se considerati nelle loro scontate accezioni.
L’oggetto è il percorso spirituale, l’evoluzione
che avanza sui solchi di una memoria legata ai vissuti personali.
Il Male si concepisce come fondamento strutturante dell’Essere,
elemento paradossalmente propulsivo di forza generativa e vitale.
Da un eterno scontro fra le parti interiori compare l’esigenza
di unità, diretta alla riunificazione del conflitto nel principio
karmico di un mandato che espleti valori di crescita esistenziale.
Non si perdono mai di vista i lati oscuri.
La crudeltà, la violenza, l’orrore sono riconosciuti come
integranti del reale, entità coessenziali a quelle forze benefiche
che possono risalire durante il loro stesso procedimento di identificazione.
E’ proprio dal confronto-scontro tra i poli
contrari che si profila infatti la possibilità del loro riconoscimento,
e del superamento per inglobazione di quelli che in essi sono gli aspetti
di distruzione.
Si intravede nell’accettazione dell’Imperfezione
la scoperta del limite, inteso come fonte di Bellezza ed accesso ad una nuova
dimensione di comprensione.
Un’Imperfezione da cui la Vita può riscattarsi da
quanto la contraddice, risaltando ed esultando seppur nella paura
e lo sgomento che suscitano energie possenti e ignote, scatenate dall’arrivo
travolgente di quanto è nuovo.
Un invito ad aprirsi al mondo, affinché anche il
mondo possa entrare e si possa ricreare in noi.
Un invito all’abbandono di rigidità, arroganza,
presunzione, perché solo il crollo delle visioni egoiche può
trovare spazio all’uscita dell’Amore.
Messaggi questi che l’Autore esprime con la pacatezza
di chi comunica senza prepotenza o la necessità di chiassose
spiegazioni.
Semplici richiami alla gioia, alla grazia, a
quella fede nella vita a tratti ironica in quel potere di edificare
che ha ovunque l’Amore.
La rivoluzione di cui parla l’Autore stà proprio in
questo: nella responsabilità ad andare incontro al cambiamento,
come passaggio necessario di sviluppo esistenziale.
Si individua possibilità creatività nella capacità
di sostenere ed affrontare nel proprio sé quelle che sono tensioni
ambivalenti.
Il miglioramento non si avvera infatti nel mondo esterno
quando non avvenga innanzitutto nel microcosmo-individuo, là da dove si proietta
ogni proprio aspetto nell’esteriore.
Lo slancio mistico dell’opera stà giusto in quel miscuglio
di bene e male che solo la speranza può salvare.
E si identifica in una rinnovata consapevolezza di
queste forze opposte una delle fonti salvifiche principali.
Marco Parente con questo lavoro si rende così interprete
di un esigenza più che mai contemporanea di ricomposizione, di ordine,
di pace interiore, al di là dei vuoti disgreganti, del caos,
dell’ossessività, del frastuono.
L’uomo, spettatore e protagonista della propria tragedia,
non ripone più il proprio credo in soluzioni teologiche, né sublima
più la propria impotenza nei miti.
Ma può attingere durante il proprio viaggio a quelle cariche
di vita che sono il soave nutrimento portato da grazia e fede.
Un verbo che vibra di note lievi, ma che per questo
non di meno tocca il cuore.
Che scuote dalle dissonanze, dalla cecità, dalla
distruzione, pervenendo ad un senso ultimo che gli viene dato dall’Amore.
Tutta l’opera è quindi pervasa e spinta dalla
ricorrente necessità di un ritrovamento e di un ricongiungimento
con i propri nuclei fondamentali.
Vi è un richiamo alle radici, al ritorno di quegli istinti
semplici e spontanei che permettono di andare oltre il proprio sé
per incontrare l’altro nei suoi aspetti più creativi e più veri.
Un invocazione alla crescita come momento di elevazione
individuale, in coincidenza con un avanzamento dall’ignoranza
che investa tutta la coscienza sociale.
Ma pur nel sentimento di fiducia che accompagna tutte
queste trame che parlano di trasformazione, non resta mai estraneo
un sentimento drammatico del reale, testimone di consapevolezze mature,
seppur vissute nella calma acquisita della saggezza interiore.
Quest’ opera risulta così essere l’auspicio
ad approdare ad un livello di autocoscienza superiore, in cui le diverse
parti si reintegrino arrivando ad un’interna riconciliazione.
E’ un inno alla germinazione della Bellezza, come
ritrovamento nell’oscurità e nel male delle parti limpide, fertili,
pure.
Un’esortazione allo scardinarsi delle barriere che allontanano
dalla possibilità di aprirsi e di arricchirsi con l’altro,
riconosciuto ed amato come tale.
Ed è proprio in questo orizzonte che si esprime la verità
essenziale di ciò che per il medesimo fatto di esistere riceve la
propria stessa celebrazione.
Trasparenza stà quindi nel potersi aprire alla
Bellezza, arrendendosi ad essa e lasciandosene invadere.
E’ il riappropriarsi di una semplicità e di una purezza
che risaltano di luce proprio attraverso il buio.
E’ riconquista di un’interezza e di una libertà
dell’essere che nel superamento delle contraddizioni intrinseche
trovano espressione a fermenti già potenziali.
Un’indagine poetica asettica, ispirata ad un processo
di autocritica che mai si discosta dall’aspetto oscuro, accompagnando la
coscienza a significati di vita diversi, in uno stadio di identificazione
nuovo.
In questo mutamento si attua una rivoluzione,
che nel contesto diviene motivo di purificazione.
Una ricerca musicale, questa, che penetra nell’animo
di chi ascolta con lo slancio leggero della sua forza gentile.
Costanza Tavian
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