Poche parole, da un uno che in genere chiacchiera tanto, pure troppo. Lasciando ad altri,
più qualificati di me, le recensioni vere e proprie, mi limito a riportare più che altro impressioni a caldo.
Un disco, quello di Marco Parente, che di certo non scorre leggero senza lasciar traccia.
Un disco breve, eppure molto denso tanto da farlo sembrare più difficile di
quello che forse è. Un disco però dalla lunga gestazione, in cui si percepiscono
le molte esperienze e collaborazioni artistiche vissute in questo periodo dal musicista.
Una ripartenza, un punto di svolta necessario, a cui auguriamo la fortuna mancata al
capolavoro che lo ha preceduto. Un disco "molteplice" in cui si trova anche il
Parente di prima - con le metriche sghembe, con i suoi amori musicali confessati - ma che è diverso dal "prima":
a tratti molto più rock e chitarristico, in un episodio addirittura elettronico e sperimentale,
ponendosi in più di un caso come possibile nuova via alla canzone d'autore italiana.
Un album "trasparente" anche materialmente, per la grafica preziosa, ma ancor più nella
produzione: la mano di Agnelli - ed è un po' una sua caratteristica come produttore -
non si sente in maniera netta, segno di un lavoro più sul concetto e sull'intenzione
che non tanto sull'applicazione precostituita di stilemi o sulla scelta/imposizione di suoni.
Suoni che sono curatissimi e in certi casi assolutamente personali.
Un disco interlocutorio, nel senso che, di sicuro, pone delle domande - anche su quella che
è e sarà l'evoluzione artistica di Marco - e che, probabilmente, dà già anche qualche risposta.
Francesco Saliola
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