Non ha perso il gusto di giocare con le parole, Marco Parente. Trasparente
(un punto per lui prima ancora di cominciare) è il suo terzo disco, più
impegnativo e rischioso del precedente Testa, dì cuore.
Meno rock, se vogliamo. La sua voce dolente e disincantata, qua e là in falsetto,
ci guida con poesia mai pretenziosa attraverso un album riflessivo, fragile e ancora più personale.
Piaccciono il bel singolo Lamiarivoluzione
(la mia Karma Police?) e la seguente Scolpisciguerra,
tormentata come l'argomento che lambisce e come certe cose recenti di PJ Harvey.
O Davvero trasparente in chiusura,
quasi un Jay Jay Johanson senza beat e tutto spleen.
Il resto, la spina dorsale dell'album, sono ballate delicate e psichedeliche
(più chitarristica Farfalla pensante,
più pianistica Adam ha salvato Molly)
oppure solenni e lunari (Derivanti,
Come un coltello, una
Anima Gemella che non sarebbe
fuori posto a casa Donà). Bene se preso singolarmente, a
leggero rischio noia se messe una dietro l'altra.
Certo però che se a intervallare arriva l'orribile Fuck He(art) & Let's Dance,
sombicchierato tentativo di dance marziale con rumorini, voci filtrate ed atre
trovate evitabili… beh, avanti un'altra trentina di ballate!
È l'unica caduta di tono del disco, ma è per fortuna breve ed è
l'ideale per provare il funzionamento dei tasti forward e program sul vostro lettore.
Molto meglio allora quella frase semplice di pianoforte all'inizio di W il mondo,
che entra in testa al volo (qualcosa tipo Organ Donor sul primo DJ Shadow).
E si scioglie in un refrain manifesto: "Non cambia il mondo / se non cambia il mio /
Non cambia il mondo / ma forse cambia il mio".
Non cambia il mondo, molto probabilmente nemmeno il mio, ma questo non vuol dire
che Trasparente sia un brutto disco. O che non possa cambiare il vostro.
Andrea Pomini
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