Rigiro tra le mani le pagine del booklet del nuovo album di Marco Parente e
deliziato rimango ad osservare, nel silenzio, la precarietà delle sottili figure,
l'inquietudine dei paesaggi deserti che si sagomano e scompongono nel gioco di
sovrapposizioni che la carta trasparente mi rivela. Trasparente, appunto.
Come solo un'emozione sa mostrarsi, o un pensiero leggero, che non può e non deve celare
altro che la sua essenza, limpida e cristallina.
La predisposizione alla limpidezza Marco Parente l'ha sempre avuta, una sensibilità senza
dubbio fuori dal comune, spiazzante e controversa come pochi, una poetica che può
lasciare incantati o infastiditi, mai nell'indifferenza.
I suoi precedenti lavori in studio, pur contrassegnati da un grande lavoro di
ricerca cantautorale, rappresentano la prova di un percorso artistico sofferto e
null'affatto semplice, fatto di arrangiamenti singolari quanto azzardati e testi che
suggeriscono un presente figlio di un'umanità francamente insoddisfatta, guidata dal
proprio istinto più che dalla ragione.
Per il proprio terzo album Marco Parente sceglie la via più diretta per arrivare
all'ascoltatore, puntare direttamente al centro del suo cuore, con una manciata di
composizioni la cui sincerità e freschezza sanno mozzare il fiato, e sfiora il capolavoro.
Non solo infatti questo disco ha il merito di conservare intatta per tutta la sua
durata la dolcezza e i toni altissimi di una composizione davvero ispirata, ma siamo certi
verrà ricordato in futuro come portatore di una doppia conferma: quella definitiva della validità di
Marco Parente quale figura-chiave di una nuova generazione autoriale italiana, e quella altrettanto
importante di Manuel Agnelli, al quale va attribuito il merito di aver rifinito un lavoro eccellente,
che in tutta onestà possiamo riconoscere il migliore della propria carriera di produttore.
Trasparente ci parla di poesia come espiazione
del dolore della nostra epoca (Lamiarivoluzione),
della sopravvivenza dell'amore (Anima gemella),
dello stupore della bellezza (Farfalla pensante),
della semplicità inafferrabile e stordente della parola come arma di pace (Scolpisciguerra),
il tutto mantenendo in perfetto equilibrio aperture orchestrali e intimismo di una voce che
punta oggi più che mai ad un ampio registro melodico tipico di artisti quali Jeff Buckley o per gli i
taliofili Francesco Renga, smorzandone però maniacalmente l'epicità.
La voce ora stridula, ora calda di Parente gioca con una rosa di infiniti rimandi:
Come un coltello si libra in un crescendo tra
Radiohead e Mercury Rev; gli arrangiamenti di Davvero trasparente
citano Bacharach; mentre in W il mondo,
uno dei migliori testi politici (che brutta espressione!) degli ultimi anni,
di un lirismo candido ed intimista, è presente il fantasma dei CSI, con i quali l'allora
sconosciuto cantautore può vantare la collaborazione nei loro primi due album.
Ad un prodotto che pur nella sua ottima veste formale sembra realizzato soprattutto per sé stesso,
Marco Parente affida le speranze e le rinunce, le illusioni e le cadute tipiche di chi decide di
affidarsi completamente all'ascoltatore, donandogli le infinite stratificazioni di un
animo fuori dal coro, al quale sempre più in futuro senza dubbio sentiremo la necessità di prestare
un'ammirata attenzione.
Andrea Salvi
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