Si fa un bel dire che dalla valutazione di un disco dovrebbero essere tenuti fuori
certi infingardi sentimenti quali l'aspettativa o l'amore, ma da e
per Marco Parente l'una e l'altro avevano raggiunto livelli ben superiori ad
una tollerabile media, a giustificare i quali basta ricordare lo stupendo
Testa, Dì Cuore, col quale Marco ha forse realizzato
il disco più significativo, intenso e moderno di cantautorato rock italiano dell'ultimo
lustro: la spregiudicatezza delle forme, lo spietato assalto delle liriche, l'originalità
inquieta dell'interpretazione, la grana rigorosa e scabra delle esecuzioni...
Da allora è stato un susseguirsi di progetti musical-teatrali che lo hanno
visto collaborare tra gli altri con Cristina Donà, la Company Blu, i macedoni Agushevi,
Stefano Bollani, Paolo Benvegnù (ex Scisma) e finalmente il ritorno discografico con questo Trasparente prodotto da Manuel Agnelli,
nientemeno. Insomma, che volete farci, mi attendevo tantissimo. E infatti. E invece.
Da un lato c'è il segno evidente di una maturazione che potremo dirsi felicemente compiuta
(soprattutto nel saper attribuire ad ogni climax l'opportuno e non scontato dispositivo
strumentale), dall'altro l'irritante succedaneità di certe situazioni che rimandano a
strutture talora davvero troppo riconoscibili. Il punto non è certo mettersi
a questionare se la vibrante Come Un Coltello
somigli (e quanto!) nell'incedere a Exit Music dei Radiohead, oppure se il
bel singolo Lamiarivoluzione
rimandi più a Karma Police o ad Annarella dei CSI: il fatto è che laddove la
forma si mette ad olezzare di seconda mano, di ansia da format, di tensione
normalizzatrice, le emozioni - in maggior misura quelle vischiose, selvatiche e
urticanti di Parente - seguono a ruota, finendo con l'apparirci stanche, disinnescate.
Il tutto è in parte riscattato dalla preziosità imprevedibile di certe intuizioni sonore, vedi
il theremin di Marco Tagliola, i trepidi fondali allestiti dai legni della
Agushevi Orchestra nella spigolosa Scolpisciguerra
o i defilati sentieri jazz imboccati dalle due tracce conclusive - al sapor di progressive
(Adam Ha Salvato Molly) quando non in bilico su struggenti mestizie para
bandistiche (>Davvero Trasparente) -
entrambe a cura di una vivida Millennium Bugs. Nel mezzo, qualche episodio
singhiozzante (la teatralità allibita di Anima Gemella
e W Il Mondo aveva conseguito
esiti ben superiori - almeno nel chimismo tra musica e poesia - in Testa, Dì Cuore)
e alcuni indubitabili gioielli: Derivanti,
ad esempio, è portatrice di una delicatezza nuda e sofferta, come un'enorme
disarmante desolazione; o la stupenda Farfalla Pensante,
alla quale perdoniamo volentieri l'eccessiva reverenza per le ballate di The Bends; oppure
la convulsione meticcia di Fuck (He)art & Let's Dance,
raccapricciante ibrido analogico-sintetico che rielabora un assioma di Ferlinghetti
inasprendolo di smanioso sarcasmo antidanzereccio.
Insomma, tra vibrante eclettismo e allibenti discontinuità il disco si lascia
comunque ben ascoltare, portatore di una certa spossatezza espressiva che non manca
di affascinare salvo poi rivelarsi alla lunga un po' troppo spuntata, non so più
se calligrafia o effetto collaterale. Peccato, perché Marco è talento puro, e il
terzo album una prova troppo importante per finire sprecata così. Poco più che
sufficiente, con (quasi) immutata fiducia. (6.5/10)
Stefano Solventi
Tratto dalla monografia di Marco Parente pubblicata da SentireAscoltare
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