Se c'è un'accusa che a Marco Parente davvero non si può muovere
è quella di essere un artista convenzionale, uno che non osa: lo dicono
tutte le tappe di una carriera avviata verso i dieci anni e che lo ha imposto -
a livello di culto: l'atipicità e il coraggio di rado sono apprezzati nel nostro circuito
ufficiale - come una voce affascinante e fuori dal coro, in grado di conciliare testi letterari e ricerca
sonora, immediatezza melodica e trame che a volte sconfinano nella ridondanz, istinti
pop-rock e teatralità, soluzioni elementari o astruse, rigore ed emozioni. Un mondo imprevedibile in cui
l'artista napoletano di nascita e fiorentino d'adozione si muove con discrezione e classe, facendo
emergere lentamente e subliminalmente - ma con prorompente, irrefrenabile, carismatica autorevolezza - quelle idee
che altri ostenterebbero in modo pacchiano.
Alle regole del valore e della bizzarria non sfugge neppure questo quarto "vero" album del Nostro,
prima parte di un dittico destinato a chiudersi a Febbraio con un altro Neve ridens (ma ad essere
oscurata nel titolo sarà in quel caso la parola Neve) annunciato come "assolutamente diverso per
umori, suoni e atmosfere": un disco sofisticato e intensissimo che con una strumentazione quasi
normale per il rock/pop (chitarra, basso, piano, fiati e... batteria di custodie) allestisce canzoni - sottolineiamolo:
canzoni autentiche, seppur particolari - avvolgenti e oblique, protese verso un'espressività ricca
e gravida di suggestioni forti. Non è facile definire esattamente in quali territori ci si sta muovendo, magari perché
Parentelandia non è un luogo stilistico della mente e Neve ridens
una magica allegoria come L'isola che non c'è di Peter Pan... e come quella non segnata sulle mappe ma raggiungibile
solo seguendo la rotta indicata dal cuore. Sfugge comunque il motivo per cui MArco,
vista anche la breve durata (trentaquattro minuti) e l'inflazione di uscite discografiche, non abbia optato
per un "normale" doppio CD. Ma lui, si diceva, "normale" non è proprio. Prendere o lasciare, e noi prendiamo. Eccome
Federico Guglielmi
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