Bisogna avere la mente sgombra per affrontare Neve Ridens; essere liberi e predisposti a
farsi investire da un disco denso e notturno, in cui ognuno dei trentacinque minuti ha
un peso specifico altissimo. A febbraio uscirà il secondo capitolo, uguale nel
titolo ma diverso nella forma e nei contenuti, l'altra faccia della medaglia,
l'unico modo per contenere la strabordante creatività e prolificità di
Marco Parente, che all'ascoltatore dà solo qualche mese di tregua, non di più.
Neve ridens primo capitolo,
dunque. Nuova vita per i suoni di Parente, accompagnato da un gruppo creativo e iper-ricettivo,
in grado di assecondare e mettere in pratica le intuizioni e la poesia del musicista ormai fiorentino a tutti gli effetti. Gionni dall'Orto, Asso e due Mariposa, Enzo Cimino ed Enrico Gabrielli, sono gli «strumenti» di Marco Parente, i pennelli, i colori e la tela sui e con i quali i pezzi prendono forma, risultando vari e omogenei, scuri e solari, asciutti e umidissimi, in un gioco di paradossi che mai fino a oggi Parente aveva spinto fino a questi estremi.
I colori e le atmosfere partono dal passato (il suo passato), per spingersi verso territori
nuovi, poco definibili: pezzi sempre aperti, in bilico tra canzone d'autore, rock
«in qualche modo» e una certa vena jazzistica e sperimentale che da sempre contraddistingue
l'approccio musicale di Parente.
Canzoni che sono ballate dalle ritmiche bislacche, con fughe strumentali
improvvise e suoni poco convenzionali, sui quali la voce costruisce melodie eteree e
personalissime riuscendo a essere, come al solito, strumento fra strumenti.
I pezzi riescono a essere minimali e potenti (Io aeroporto),
frizzanti e immediati (Il posto delle fragole),
oppure lenti e onirici (Un tempio),
e si fanno comprendere soprattutto dopo molti ascolti, svelandosi lentamente, con moderazione. Un
buon segno, che caratterizza solitamente i dischi destinati a durare a lungo.
In attesa del secondo capitolo.
Voto: * * * *
Gianvittorio Randaccio
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