Il classico disco che mi fa incazzare. La dimostrazione di come in Italia ci
siano artisti con capacità di gran lunga superiore alla media di alcuni
bei fighetti che hanno la fortuna di dire love e non amore.
Fuck e non sfottere. Marco Parente, e non poteva essere diversamente
guardando l'etichetta di provenienza, è uno di quegli artisti capaci
di far riflettere. Che riescono a colpire con dei testi interessanti, reali.
Non artificiosi o falsamente profondi. Il contorno è fatto di suoni,
di accordi, di rumori. Di una musica moderna, concepita per esprimere se stessa
attraverso un riff di chitarra così come attraverso il suono di un
violino. Costruita per farci scordare ciò che non le è funzionale.
L'esperienza maturata come batterista dei C.S.I. è evidente.
Nulla è lasciato al caso. Ogni singola nota fa parte di un contesto
ben preciso. Da cui deve scaturire un significato ben preciso. La title track
è elegante, struggente, delicata. Cuore
distillato l'esempio di come il rock abbia ancora strade da percorrere.
Il fascino del perdente un piccolo gioiello.
Senza voltarsi un blues moderno cantato
con la bravissima Cristina Donà.
Grande merito e massimo rispetto quindi per il Marco Parente non più
batterista, ma cantante, chitarrista e arrangiatore.
Sicuramente una speranza per il futuro del rock italiano (non del rock in italiano).
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