Marco Parente, con il suo Testa, dì cuore
(Sonica Factory/Universal) ribadisce in modo ancor più palese le doti
già manifestate in Eppur non basta
del 1997, confermandosi figura di assoluto rilievo nell'ambito della "giovane"
canzone d'autore autoctona; in un panorama nazionale dove le potenzialità
creative sono troppo spesso avvilite nella ricerca dello stramaledettissimo
hit radiofonico o nell'adeguamento a cliché riconoscibili e quindi
rassicuranti, il geniale Marco segue infatti da sempre la strada impervia ma
stimolante della sovversione "pop", concependo ibridi musicali fatti
di melodie devianti, arrangiamenti stralunati, voce tutt'altro che ligia alle
regole del "bel canto" e liriche sospese tra reale e surreale. Tali
elementi caratterizzano naturalmente anche questo nuovo lavoro, dove il naturale
contrasto tra ragione e istinto (testa e cuore) è appianato in undici
episodi tanto estrosi e ben articolati nei loro intrecci per lo più elettroacustici
quanto vibranti di autentica passione:
episodi come Cuore distillato, le cui
trame all'insegna di un ombroso seppur delicato ipnotismo si aprono in un
ammaliante "refrain"; come Senza voltarsi,
interpretata in coppia con la sempre splendida Cristina Donà,
le cui atmosfere rimandano (mutatis mutandis, è ovvio) alla musica
italiana degli anni '60 più eterea ed evocativa; come la sommessa title-track,
che assieme alla spettrale Dì e alle
"teatraleggianti" Succhiatori e
Falso movimento aprono una finestra sul
lato meno facilmente decifrabile dell'Artista.
Un Artista, lo si affermi senza timore di smentita, con la "A"
maiuscola, che dovrebbe essere al più presto strappato dalla sua nicchia
di culto e consegnato con tutti gli onori quantomeno al pubblico più
ampio dei vari Afterhours e La Crus, con i quali ha in comune non lo stile
ma il carisma un po' austero (nel quale, però, non manca di affiorare
l'ironia) e l'indole magicamente obliqua.
Federico Guglielmi
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