Sono passati tre anni, sufficienti a portare in superficie tutta l’irrequietezza
e la febbrile lucidità di Marco. Fin dall’iniziale Falso Movimento
la tensione delle trame sonore (trasfigurazioni sintetiche, archi serrati, chitarre
in riverbero, foschi tracciati di basso, percussioni fuori ordinanza…) e la
misteriosa ruvidità del testo (come una poesia recitata con lo scudiscio)
spostano la linea di fuoco in primissimo piano, nel cuore di un
conflitto intimo e sociale, tra irrisolte contraddizioni esistenziali e
la scabra evidenza dell’inumano che tutto muove.
La sola Succhiatori vale una carriera di
tanti sedicenti (al limite seducenti) cantautori: andatura da tango claudicante,
sventagliamenti percussivi, archi ombrosi, corde mangiucchiate dalla distorsione,
la disarmante amarezza del chorus e quell’autentica esplosione centrale che
scompagina la struttura in un bailamme di parole sputate con sdegno accecante.
Inoltre: è splendido il duetto con Cristina Donà in Senza Voltarsi,
prodigiosi il crescendo iridescente de La Guarigione e
quello esasperato della title track, ben dentro ai propositi dell’opera le
concessioni pop di Karma Parente, coinvolgente
fino alla commozione la conclusiva Rampe Di Slancio.
Non una traccia debole, tutte a definire un concept senza i difetti del concept,
una presenza sonora e poetica fragile e veemente, ragguardevole in senso
assoluto, addirittura imprescindibile alla luce di uno scenario come quello italiano. (8,3/10)
Stefano Solventi
Tratto dalla monografia di Marco Parente pubblicata da SentireAscoltare
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