Dopo pochi mesi, il quadro si completa: Neve ridens è finalmente un'opera
intera, compiuta, come due facce dello stesso specchio che riflettono immagini differenti.
Introduzione enigmatica? Sì, e non è un caso: tra i due dischi
ci sono continui giochi di specchi, rimandi testuali e di
frammenti sonori, parole che rimbalzano nelle frasi come piccole
ossessioni. Marco Parente ha creato due dischi complementari; se nel
primo giocava tra pieni e vuoti,
ora il suono satura ogni spazio possibile, e lo fa nei
modi più diversi: con lamiere d’acciaio che disegnano cieli gonfi
di nuvole (Neve), con la timbrica straniante
di un gamelan preparato (Trilogia del sorriso animale: II sorriso),
con il jazz destrutturato della bellissima Ascensore inferno piano terra.
Certamente ogni struttura è abbandonata: anche dove si è più vicini ai
canoni rock, la musica devia dai cliché, ora suonando la batteria
solo sui registri alti (nella cover di Michelangelo Antonioni di
Caetano Veloso) ora intrecciando tre voci e passando la
melodia portante dal pianoforte alla chitarra elettrica (Neve ridens),
ora riverberando in maniera sinistra la chitarra nella bossanova di
Gente in costruzione. Ciò
che è strano è che la ricerca della diversità negli arrangiamenti non venga
applicata anche alle linee vocali, il vero punto debole
del disco: flebile, sul punto di spezzarsi in un sussurro o di strozzarsi
in un urlo, la voce di Parente segue sempre gli stessi percorsi, finendo per
indebolire le intenzioni pregevoli di molte delle sue canzoni. L’unico momento
in cui tutto riesce davvero bene è Amore cattivo:
il canto viaggia da solo mentre il pianoforte cerca la melodia e, tra
i salti di ottave della voce, irrompe improvvisa una chitarra elettrica potente,
mentre il clarinetto la attraversa con lampi free jazz.
In definitiva, ogni reazione a Neve ridens e
al suo gemello è profondamente soggettiva: non si può non lodare la
voglia di sperimentare e di cercare territori realmente nuovi per la canzone
d’autore ("I nostri occhi devono cantare ciò che non si vede e scorre sotto alle pietre",
canta Marco in Gente in costruzione),
ma ciò non toglie che molte cose assomiglino a bozzetti incompiuti che
sarebbero dovuti rimanere nel cassetto.
di Daniele Paletta
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